MEMORIA DI GIOVANNI PAOLO II… IL GRANDE CONDOTTIERO
Nella tarda serata del 2 aprile 2005, vent’anni fa, accompagnato dalla riconoscenza del mondo intero, ha lasciato il “breve sabato del tempo” per entrare nel “giorno senza tramonto” il papa Giovanni Paolo II.
Per chi, come il sottoscritto, ha avuto la grazia di vivere la propria “giovinezza cristiana” e i primi passi del proprio ministero sacerdotale all’ombra di un gigante della statura di Karol Wojtila, l’immersione nei ricordi, il recupero delle immagini, l’immedesimazione nei contesti… è sempre motivo di commozione e di riconoscenza. Sono andato a rivedere alcuni miei appunti stilati, quasi d’istinto, nei giorni “straordinari” dell’agonìa e della morte del pontefice, quando milioni di persone di tutte le età, ma soprattutto giovani, trepidavano, pregavano e piangevano per lui.
In quel sabato 2 aprile 2005, alle ore 21.00, ci eravamo raccolti anche noi, le Comunità di Cividale Mantovano e Spineda di cui ero parroco, nella chiesa di Spineda, a recitare il Rosario davanti a Gesù Eucarestia per il Santo Padre morente. Introducevo l’incontro con queste parole:
«Al di là della suggestione giornalistica e mediatica, che sta riducendo a spettacolo mondiale un evento così solenne e personale come l’agonìa di un uomo, di un cristiano, di un prete… ci spinge qui, questa sera, anzitutto la gratitudine: per il servizio che Giovanni Paolo II ha reso alla Chiesa nella salute e nella malattia; per la sua limpida testimonianza al Vangelo; per la sua grinta e passione apostolica…
A trattenerci qui, stasera, è anche l’affetto: il nostro per lui e il suo per noi. Il nostro per un papa che abbiamo tutti sentito vicino… paterno e virile, esigente ma accogliente… Siamo qui anche, e soprattutto, in ragione della fede: perchè il papa, per noi cristiani, non è solo un’autorità, ma il volto umano di Gesù Buon Pastore…».
Alle 21.50, nel silenzio adorante in cui era immersa la chiesa, qualcuno venne ad informarmi che il cuore del pontefice aveva cessato di battere. Cantammo subito il Magnificat… per celebrare le grandi opere di Dio nel suo “servo buono e fedele”.
A distanza di vent’anni, il 2 aprile scorso, ho ripensato volentieri a come Giovanni Paolo II se ne sia andato scortato, oltre che dalla devozione di moltitudini di fedeli in ogni latitudine del pianeta, anche dall’umile supplica di Comunità cristiane piccole e sperdute come Spineda e Cividale: un’esperienza di comunione ecclesiale forte ed intensa. Indimenticabile. Anche le nostre due parrocchie si erano organizzate, dopo la morte del papa, per unirsi ai milioni di uomini e donne, adulti, famiglie e giovani, che, sfilando talvolta per 20 ore consecutive, desideravano “salutare” personalmente, sia pure per pochi misuratissimi secondi, il “grande condottiero”, rivestito dei paramenti pontificali ed esposto, nella solenne immobilità della morte, davanti all’altare della Confessione nella Basilica di S. Pietro.
L’appuntamento per la partenza in pullman era fissata per la mezzanotte di mercoledì 6 aprile: due ore prima, alle 22.00, un comunicato della Prefettura di Cremona proibiva tassativamente a chiunque di mettersi in viaggio verso Roma a causa dell’enorme flusso di gente che si stava riversando sulla capitale, la cui capacità di accoglienza era ormai al collasso. La sera precedente, il 5 aprile, nella chiesa di Cividale, alle 21.00, avevamo celebrato un’Eucarestia di suffragio. Rileggo gli appunti dell’omelìa in quella Messa:
«Ti ringraziamo, Signore, per il papa Giovanni Paolo, al quale hai dato la profondità di pensiero dell’evangelista Giovanni e la tenacia dell’apostolo Paolo…
Grazie per quello che Giovanni Paolo II ha detto e per quello che ha fatto, per quello che ha benedetto e per quello che ha condannato. Grazie per i suoi ostinati e contestatissimi “no”. No all’esercizio della sessualità sganciata dalla fedeltà e dall’impegno per la vita, no all’aborto, no al divorzio, no alla fecondazione artificiale, no alla manipolazione genetica, no all’eutanasia… Ma anche… no alla guerra, no alla pena di morte, no al totalitarismo dello Stato, no allo sfruttamento del lavoro minorile, no al terrorismo, no alla mafia, no all’usura, no alla tortura, no al degrado ambientale, no al fanatismo religioso, no alla coercizione della coscienza…
Il papa “proibizionista”, come è stato spesso definito, in realtà, ha pronunciato molti “no” perché tutti potessimo essere liberi di dire molti più “sì”: sì alla vita umana sempre, sì all’amore autentico e generoso, sì alla famiglia stabile ed unita, sì alla paternità e maternità responsabili, sì al “genio” femminile, sì alla pace tra i popoli, sì all’accoglienza tra culture diverse, sì alla solidarietà con gli ultimi della società, sì alla fraternità tra le religioni, sì al riscatto dei delinquenti, sì al rispetto dei diritti di ognuno… sì ad una Chiesa meno autoreferenziale e più missionaria, sì ad un mondo più degno dell’uomo».
Un pontificato, insomma, di cui non ringrazieremo mai abbastanza né Dio né Giovanni Paolo II. Senza il quale non esisterebbe oggi un papa Francesco, nè il suo magistero, che porta alle estreme conseguenze la mistica ossessione di Wojtila per Cristo “Redentore dell’uomo”.
Ultimo aggiornamento: 5 Aprile 2025