SANT’ANTONIO ABATE, IL PORCELLO E… LA VERGINE CUCCIA
A sant’Antonio d’Egitto, patriarca dell’eremitismo cristiano è, tradizionalmente, affidata la speciale protezione degli animali domestici: ma, secondo me, il vecchio Abate non protegge volentieri gli animalisti. Neppure quelli addomesticati. Men che meno quelli feroci.
Anche le bestie, infatti, hanno dei diritti fondamentali: primo fra tutti, quello di poter vivere “secondo natura”. E gli animali, probabilmente, desiderano mantenere ben distinta la loro dalla nostra. Per timore
dell’insania che ammorba l’umanità: a causa della quale l’ordine dei generi e delle specie (così rigoroso tra le fiere) si è ridotto ad una distinzione convenzionale e soggettiva.
E’ vero: gli animali sono molto tolleranti. Accettano di essere nutriti come, e più, degli esseri umani: i loro alimenti occupano un settore considerevole negli scaffali dei supermercati. I tribunali italiani puniscono chi lascia morire di fame e di sete il gatto: anche se garantiscono l’impunità a chi, per pietà, lascia morire di fame e di sete una persona malata da troppo tempo, inguaribile ma non incurabile, anche se incosciente. Ma non più del gatto.
Certe bestie, poi, vengono curate in appositi ambulatori, e sottoposte a sofisticati interventi chirurgici
(talvolta fino all’accanimento terapeutico, proibito tra gli umani), nonostante non fruiscano dell’assistenza mutualistica gratuita. Con la metà delle terapie destinate loro, diversi bambini che ho conosciuto personalmente in Sierra Leone (Africa) oggi vivrebbero in salute, o, quantomeno… vivrebbero.
Riguardo al “look”, alcuni animali indossano abitini confezionati su misura per la gioia dei loro “padroni”: che, in realtà, accettano volentieri il ruolo di “servi”, disposti a raccogliere prontamente, e senza disgusto, perfino gli escrementi che le idolatrate “vergini cucce” (di pariniana memoria) rilasciano durante le passeggiate per le vie dei centri abitati: un servizio che molti di noi inorridirebbero di dover svolgere verso i propri genitori anziani e incontinenti!
Intendiamoci: mi è chiaro quanto la presenza degli “amici a quattro zampe” sia importante per chi, avanti negli anni e solo, deve fare i conti con l’isolamento ed un insopportabile abbandono sociale. Ammiro anche l’intuizione e l’impegno di quanti collaborano alla guarigione emotiva delle persone fragili attraverso terapie di contatto gratificante e di relazione empatica con gli animali. Lo sguardo “francescano” sulle creature, considerate “fratelli e sorelle”, poi, è un tratto originale della spiritualità cristiana, che trova Dio dappertutto, nella terra e nel cielo, nell’acqua e nel fuoco, negli esseri animati e
in quelli inanimati… ma esercita il dovere biblico della “custodia del creato” con profondo rispetto per la natura di ciascuno: senza umanizzare le bestie e senza nulla concedere alla “bestialità” degli umani.
Un’ultima considerazione. Accanto a sant’Antonio la tradizione iconografica rappresenta il porcello: simbolo (senza offesa per la pregiata stirpe dei suini) del vizio di lussuria, contro gli attacchi della quale – secondo il biografo sant’Atanasio – il combattivo Eremita dovette difendersi fino a tarda età. Per i maiali, destinati a trasformarsi in salumi, la normativa internazionale prevede l’eutanasìa: una fine dolce, insomma, e indolore. Meno crudele di quella riservata ai detenuti condannati a morte nella civilissima America. Meno cruenta di quella che, in Italia, interrompe, legalmente, la vita ai feti umani,
smembrati atrocemente e risucchiati da una cannula abortiva.
Georges Orwell (+ 1950), nel suo romanzo profetico “La fattoria degli animali”, dopo avere raccontato il tragico epilogo della rivoluzione capitanata dai suini per sottrarre al Fattore il potere della cascina, conclude amarissimamente: «Gli animali da fuori guardavano il maiale e poi l’uomo, poi l’uomo
e ancora il maiale: ma era ormai impossibile dire chi era l’uno e chi l’altro». Già! Come dovevasi dimostrare.
Ultimo aggiornamento: 11 Gennaio 2025