LA CHIESA ARCIPRETALE DI CALCIO… COME UNA BASILICA
Il 9 novembre i Cattolici del mondo intero celebreranno la dedicazione della Basilica Lateranense, la cattedrale di papa Francesco, vescovo di Roma; ma lo scorso 23 ottobre i Calcesi hanno ricordato, in una liturgia solenne (purtroppo quasi deserta), i 144 anni dalla consacrazione, avvenuta nel 1880, della loro chiesa arcipretale.
Anche Calcio, dunque, ha la sua “basilica”: la chiesa di San Vittore. Imponente e artistica. Armonica e compatta. La cui funzione non è di chiudere i credenti in un recinto sacro, rassicurante ma asfittico; ma di evocare, al contrario, un legame fisico, oltre che spirituale, con la “chiesa – madre” di tutte le chiese dell’orbe terraqueo, San Giovanni in Laterano, dalla cui cattedra il Successore di Pietro presiede, nella carità, al popolo di Dio sparso in ogni angolo del pianeta.
Certo è commovente pensare come i Cristiani Calcesi, nel corso dei secoli, abbiano voluto riconoscere, in uno “speciale” edificio di pietre – prima nell’antica Pieve e poi nell’attuale San Vittore – una sorta di comune “casa paterna”: punto di riferimento e di identificazione…
Simbolo del legame che unisce gli uni agli altri come “pietre vive” di una Chiesa viva, come membra dello stesso organismo vivente che è il Corpo mistico di Cristo!
La “nostra arcipretale” (come ama definirla, con giusto orgoglio, Alfredo), poi, con la sua cupola vertiginosa, sembra volerci “attrarre” verso l’alto, quasi fosse una finestra aperta sul Trascendente per la contemplazione di quelle “cose di lassù” che giustificano lotta e impegno per le “cose di quaggiù”.
E’ innegabile: la chiesa di muri costituisce, per i discepoli di Gesù, una “parola” di singolare intensità. In essa, infatti, tutto parla: le immagini e i colori, le luci e le ombre, le forme e gli spazi, i suoni e i silenzi, i profumi, i gesti, i riti… e perfino la sua immobile solidità.
Ecco perché deve essere bella, anzi bellissima. E soprattutto accogliente. Come si conviene all’ambiente in cui ci si ritrova, come una grande famiglia, per gustare insieme il pane della gioia e masticare in compagnìa i bocconi più amari: qui convergono, infatti, le fatiche e le speranze, gli affanni e le attese, le soddisfazioni e le umiliazioni che scandiscono il calendario di ogni nostro focolare domestico.
Qui si sperimenta quella “strana” fraternità che non è principalmente una scelta nostra (quella di volerci bene, di aiutarci, di compatirci…) ma, piuttosto, una grazia: dono singolare del Signore Gesù che ci costituisce figli dello stesso Padre.
La chiesa è un luogo “sacro”: che Dio, cioè, “consacra” al suo incontro con noi. Una casa aperta a tutti: in cui ciascuno può ritrovare se stesso dalle proprie dispersioni; o sostare per una preghiera fugace; o piangere lacrime di purificazione sul proprio peccato. Una bella chiesa, come la nostra arcipretale, è soprattutto una responsabilità, anzi un appello: a diventare, davvero, una “bella comunità”.
Ultimo aggiornamento: 3 Novembre 2024