In nostri parroci acquisiscono il titolo di “Arciprete”. Questo è un titolo, oggi generalmente onorifico, che si attribuisce al parroco di una parrocchia che si identifica come “arcipretura plebana”, proprio come nel caso della nostra. Ecco, allora, che fin dal IV secolo, troviamo in numerose diocesi un arciprete a capo del collegio dei presbiteri, che aiutava e rappresentava il vescovo nell’espletamento dei suoi doveri liturgici e religiosi. Di regola, specialmente a Roma, luogo in cui l’usanza ebbe origine, veniva investito di questo ruolo il più anziano dei presbiteri; nella Chiesa greca invece la sua nomina rientrava tra i privilegi del vescovo.
Dopo il quarto sinodo di Cartagine, l’arciprete fu associato come rappresentante del vescovo nella cura dei poveri. In seguito alla cristianizzazione completa delle genti romane e germaniche (che si può far coincidere all’incirca con i secoli IV-VIII), nei maggiori centri rurali, iniziarono a sorgere chiese dotate del loro clero e delle proprie fonti di sostentamento. Gli abitanti dei piccoli villaggi vicini e dei feudi a bassa densità di abitanti, fin dall’inizio, dipesero da questi centri più grandi, o “chiese madri”, per ricevere i sacramenti e partecipare alla Messa. L’arciprete era il più elevato in grado tra i preti legati a tali chiese: era il responsabile del clero locale e soprintendeva ai doveri del ministero ecclesiastico. Tutti i parrocchiani erano obbligati a presenziare alla Messa domenicale che si teneva nella chiesa madre, dove venivano celebrati tutti i
battesimi e i funerali. Così avvenne anche a Calcio, dove per battezzarsi, ad esempio, provenivano dal circondario, persino da Urago d’Oglio (oggi in Diocesi di Brescia).
Nelle chiese periferiche del territorio, invece, si potevano celebrare solo le Messe giornaliere, le devozioni comuni e il catechismo. L’arciprete della chiesa madre era a capo di tutto il clero della sua parrocchia ed era responsabile della corretta esecuzione dei suoi doveri ecclesiastici e del suo
stile di vita.
Gradualmente, specialmente durante il periodo carolingio, diverse chiese divennero parrocchiali indipendenti, dove si potevano celebrare tutte le cerimonie religiose, inclusa la Messa domenicale ed i battesimi: in questo modo il numero delle parrocchie aumentò notevolmente, facilitando anche
la partecipazione delle persone che prima, magari, dovevano percorrere parecchi chilometri e passare in strade diverse da quelle di oggi e talvolta anche pericolose.
In molti casi furono creati interi distretti ecclesiastici ex-novo e qualche volta vennero uniti molti dei primi arcipresbiterati. Qualche volta si tenne conto anche delle suddivisioni civili del territorio in questione. La totalità del clero del distretto costituiva il capitolo rurale, al capo del quale era
l’arciprete o decano rurale. Nel periodo carolingio era usanza che il primo di ogni mese l’arciprete e il clero della sua parrocchia si riunissero per discutere sulle questioni più importanti. Più tardi tali riunioni vennero convocate solo una o due volte l’anno.
Con il tempo, il capitolo rurale acquisì il diritto di eleggere l’arciprete. L’unione di questi arcipresbiterati formò gli arcidiaconati, i cui decani erano soggetti all’arcidiacono.
Nel corso del tempo, l’ufficio di decano o arciprete subì molti mutamenti. Questi sviluppi non furono uguali in tutti i paesi e grazie a questo fatto sono rintracciabili molte differenze locali. Il Concilio di Trento si limitò a stabilire il regolamento sulle visite dei decani alle parrocchie. San Carlo Borromeo, nella sua diocesi, abolì l’ufficio di decano e lo sostituì con quello di “vicario rurale”, o “vicario foraneo”, un ufficio sempre revocabile.
Oggi, secondo l’attuale legge ecclesiastica, la suddivisione di una diocesi in decanati (o zone pastorali) spetta al vescovo; i decani, o meglio vicari zonali come chiamati nella nostra Diocesi di Cremona, non hanno una giurisdizione propriamente detta; sono semplicemente delegati del vescovo per lo svolgimento di determinati doveri ecclesiastici, come ad esempio favorire le relazioni tra il clero a loro sottoposto oppure esercitare una certa supervisione sull’operato del clero. Il dovere di assistere il vescovo durante le Messe Pontificali, una volta gravante sull’arciprete della cattedrale, è stato in parte trasferito al decano del capitolo della cattedrale ed in parte nelle grandi diocesi al vescovo ausiliare, qualora sia presente. Talvolta i parroci delle parrocchie che sono state storicamente sede di decanato conservano il titolo di arciprete. In questi casi il titolo è oramai quasi del tutto onorifico, indicando al massimo un certo prestigio formale della parrocchia stessa derivante dalla sua antichità e dal suo passato di chiesa madre del decanato.
Ultimo aggiornamento: 6 Maggio 2020