VENGA IL TUO REGNO… SENZA CONFINI E SENZA BARRIERE
Provo sempre un certo imbarazzo nel pensare ad un Cristo “regnante”. E tuttavia quella del “regno” è una categoria molto ricorrente nei Vangeli, e si colloca, addirittura, al centro della Buona Notizia: «Il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo!».
Evidentemente Gesù non è “re” alla maniera dei “sovrani” e nemmeno secondo il gusto dei “sovranisti” di questa terra, con i quali non ha assolutamente nulla da spartire. In piena consapevolezza: «Il mio regno –
risponde ad un sarcastico Pilato che gli imputa la pretesa di farsi “re dei Giudei” – non è di questo mondo!». Niente in comune, dunque, con coloro che “dominano sulle nazioni”.
Gesù non ha un esercito per difendere i confini del proprio reame: che non ha barriere né dogane, poiché, nel sangue versato con regale libertà dall’Agnello immolato, è stato abbattuto ogni “muro di separazione che divideva i popoli”.
Non cerca servitori né cortigiani: «Non sono venuto – precisa per essere servito ma per servire». La sua unica legge è l’amore misericordioso ed incondizionato: per vivere il quale esige dai suoi discepoli una “giustizia” superiore a quella formalistica e minimale dei farisei osservanti.
Non risiede in un palazzo che possa celebrare la sua grandezza, poiché condivide la condizione di chi “non ha dove posare il capo”. Il suo trono è la croce: regnare, infatti, secondo Cristo, è “consegnarsi” in obbedienza alla volontà del Padre “fino alla morte e alla morte di croce”. Il suo capo è incoronato di spine: nel suo regno, infatti, sono “beati i perseguitati”.
Non c’è più bisogno di invocare, con le parole del salmista: “Alzatevi porte antiche, ed entri il re della gloria”; il “Signore dei signori” si è abbassato fino ad assumere “la forma di schiavo”. Egli ha già spalancato le porte del suo regno al “ladrone” agonizzante, e morendo nel supremo dono di sé per i peccatori, ha trasformato il patibolo infame in “albero della vita”. Il suo abito regale è la totale nudità: Cristo, infatti, regna spogliandosi di sé, e perfino della sua “uguaglianza con Dio”.
Eppure, di fronte a Pilato che provocatoriamente lo incalza (“Dunque tu sei re?”) Gesù di Nazareth non smentisce la propria regalità, anzi la afferma con forza: “Tu lo dici: io sono re! Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo”. Nonostante l’evidente disparità delle posizioni, Cristo appare davvero l’unico vero “re” al cospetto del quale Pilato, e l’imperatore che rappresenta, si riducono a personaggi grotteschi, ad ombre senza consistenza. Il suo modo di regnare, così alternativo, confonde l’arroganza delle maestà mondane, e sovverte, dal di dentro, l’idea stessa del potere.
E ai cristiani, consacrati – per pura grazia – “sacerdoti, re e profeti” a immagine e somiglianza di Gesù, è affidato il compito di rivelare, in ogni tempo e in ogni luogo, che il regno di Dio è già qui, dentro l’opacità della storia: minuscolo ma vigoroso come un granello di senape; invisibile ma efficace come il lievito nella pasta; infestato dalla zizzania ma destinato, come il buon grano, a produrre una messe abbondante. Una speranza che anche noi vogliamo alimentare, prestando voce, cuore e mente all’attesa ispirata dalla più emblematica delle orazioni cristiane: “Venga il tuo regno”. E magari recuperando, quale programma di vita da declinare ogni giorno, la popolare giaculatoria pregata dai nostri vecchi: “Cristo regni: sempre!”.
Ultimo aggiornamento: 24 Novembre 2024