Carissimi fratelli, sorelle e amici di S. Maria in Campagna, Pumenengo e Calcio, vi ringrazio, innanzitutto, per l’accoglienza ispirata dalla fede che vi raccoglie qui oggi, in un momento che è di passaggio per me e per voi, e quindi pieno di incognite e di speranze per voi oltre che per me. Insisto sulle ragioni di fede: che ci consentono di leggere in una logica pasquale anche gli avvicendamenti, i “cambi di guardia” nelle nostre Comunità, che hanno un unico Pastore buono e perfetto, il Signore Gesù, ma devono fare i conti con i preti che lo rappresentano, segnati da molti limiti e appesantiti da qualche tara. Se la fede, infatti, non vi impedirà di constatare che vi è stato inviato un parroco “usato e usurato”, vi suggerirà almeno la compassione e la misericordia per non scandalizzarvi della logica umanamente assurda con cui il Pastore dei pastori, il Crocifisso risorto, vince la sfida con il potere e la sapienza del mondo attraverso la debolezza e la stoltezza della croce. Sento di dover fare mie le parole, così oneste e così severe, di don Primo Mazzolari al suo ingresso nella parrocchia della SS. Trinità di Bozzolo, il 31 ottobre 1920: “Per amore di Dio, ve ne supplico: non confondete me, povero uomo, con la religione che è divina; io che passo… con il Vangelo che rimane; io, uomo di senso e di passione, con Cristo bontà e verità. Per onorare il sacerdote non voglio corriate il rischio di disonorare Gesù Cristo, confondendomi con lui, attribuendo a lui le innumerevoli mancanze che riscontrerete in me. Vi dico di più: se vi fossi d’inciampo per arrivare a Cristo, per credere in lui, fate pure senza di me. Io non voglio meritare il terribile rimprovero che Egli rivolgeva un giorno ai farisei: “Guai a voi che chiudete in faccia agli uomini il regno di Dio, e non vi entrate voi né lasciate che altri vi entrino”. E’ proprio di don Primo l’immagine, sempre affascinante e attuale, della Chiesa come “focolare che non conosce assenze”, nella quale, cioè, il fuoco arde anche per coloro che non attraversano mai il sagrato, ma che, nella famiglia, sono i figli prediletti, i più attesi perché i più lontani e i più esposti: ecco… mi piacerebbe che la nostra Comunità cristiana, nella comunione che la anima spiritualmente prima che istituzionalmente dentro le singole parrocchie, assumesse sempre di più la fisionomia di una casa dalle porte aperte, dell’ovile nel quale non ci si sente solo un gregge compatto, protetto e ben nutrito, ma si trepida per chi è fuori, per la pecora smarrita e si incoraggia il pastore a rischiare l’imprevedibile per recuperarla. E siccome – spiega ancora don Primo – “Dio non ha nemici ma solo figli”, osasse sbilanciarsi nel dialogo e nell’amicizia con quanti, ormai numerosi anche nel nostro territorio, professano una fede diversa dalla nostra. Ma intanto eccoci qui. Ad iniziare un cammino insieme: lo stesso che avete percorso fino a ieri. Grazie all’intraprendenza pastorale ordinata e intelligente di don Fabio, all’entusiasmo giovanile di don Michele, alla collaborazione generosa di don Antonio, alla fedeltà umile e disarmante di don Silvio, all’estro creativo di don Andrea… Mi inserisco nel vostro percorso in punta di piedi, senza pretese, desideroso di capire, di imparare e di servire… Permettetemi, prima di concludere, di esprimere ancora una volta la mia gratitudine ai Soresinesi dai quali mi congedo e che, in queste settimane, mi hanno manifestato, in mille modi, il loro affetto e la loro stima. Che so di non aver meritato. Un grazie davvero speciale a don Alberto, a P. Giuseppe e a don Enrico che a Soresina hanno ovviato alle mie deficienze e omissioni. Sono grato anche ai fedeli di Cividale Mantovano e di Spineda, che vedo rappresentati nella nostra assemblea, e dei quali custodisco un ricordo indelebile. Alla Comunità di Calcio la piccola parrocchia di Cividale ha donato un grande parroco, don Massimo Morselli, la cui memoria è una benedizione per voi e per me: ma se mi onora l’amicizia profonda e schietta che mi ha legato a lui, tuttavia mi manda in confusione il pensiero di essere qui, oggi, al suo posto… diversi come siamo e perfino opposti nell’indole e nello stile. Ma… mi sembra di sentirlo, mentre benevolmente mi rimprovera nel suo inconfondibile vernacolo gonzaghesco: “Vhè… taca mia cum dli foli!” (Non cominciare con delle storie inutili…). Don Massimo, ne sono certo, ci aiuterà a diventare “frammenti diversi di un unico pane”. Un saluto pieno di affetto ai bambini, agli anziani e ai malati. Grazie al Vescovo, ai sacerdoti presenti, alle autorità e a tutti voi… e pregate per me!
Ultimo aggiornamento: 13 Ottobre 2024